
1) Come nasce e perchè l'idea di AgoraVox?
Nasce in Francia nel 2005 da un'idea di Carlo Revelli che "sentiva" una discrepanza tra l'opinione pubblica e quella dei politici e dei media mainstream in merito al referendum sulla Costituzione Europea. Sul Web circolavano voci fortemente contrarie alla Costituzione che prevedevano una sconfitta del sì. AgoraVox nasce, anche, da un avvenimento tragico: lo Tsunami 2004. Il flow d’informazione non era gestibile attraverso i media tradizionali e il mezzo di comunicazione privilegiato divenne il Web. I nomi degli scomparsi, dei feriti, le immagini, trovarono nella rete l’unico supporto valido. Decise, quindi, di mettere su un giornale partecipativo. In Francia, oggi, abbiamo un milione di visitatori al mese e 35000 "reporter" che sottopongono degli articoli. Tra loro circa 1000 moderatori votano gli articoli off line e quelli più interessanti vengono pubblicati. Dopodiché gli utenti votano gli articoli on line e a seconda delle preferenze e del numero di commenti un articolo sale o scende sulla home. In Francia siamo, classifica Wikio, il secondo medium più citato su internet dopo Le Figaro. Il mese prossimo AgoraVox diventerà una Fondazione per evitare possibili derive aziendalistiche e/o politiche e conservare la nostra indipendenza.
2) Come mai dopo la Francia si è deciso di iniziare questa esperienza in Italia?
Ti potrei rispondere come ha fatto Al Gore alla presentazione di Current TV: "perché l’Italia è un paese di creativi". Oppure ti posso rispondere in maniera più seria: perché in Italia c’è bisogno di mezzi d’informazione bottom-up. Piattaforme sulle quali il cittadino puo’ fare emergere il proprio punto di vista. Ricordo una conferenza di Vattimo sui simboli religiosi, diceva: "io non voglio togliere il crocifisso dall’aula, io voglio aggiungere al crocifisso la stella di David e la Mezzaluna. La cultura, il dialogo crescono aggiungendo non togliendo". Ecco questa è la forza dell’informazione bottom-up: aggiunge, non toglie.
3) Quali sono gli obiettivi del progetto?
Vogliamo un’informazione "democratica" che privilegia la "versione reale" a quella "ufficiale". Vogliamo che l’informazione non sia più "profetica", top-down ma che porti il contributo di chi ha visto e vissuto quello che, spesso, è narrato a posteriori e non in diretta. L’obiettivo di AgoraVox é un’informazione di qualità, che dia un valore aggiunto. Il pubblico è interessato a leggere e sapere ma non è interessato a rileggere cio’ che gli è viene ripetuto con le stesse parole, senza aggiungere nulla.

I contributi video saranno parte integrante di AgoraVox Italia. Non apriremo un portale specifico ma vorremmo capitalizzare la mole di video che sono in rete e che, spesso, non vengono mostrati. Mi viene in mente, ad esempio, la lunghissima inaccessibilità all’ultima intervista di Borsellino o i recenti scontri tra polizia e manifestanti a Pustarza, in Irpinia, contro l’apertura della discarica.
5) Come vedi il rapporto tra le testate cartacee e web e un progetto di informazione partecipativa come AgoraVox?
I giornali stanno cambiando, non finiranno. Se prendiamo una recente ricerca, apparsa su Repubblica, della World Association of News Paper e del Word Editors Forum, noteremo come la prospettiva verso la quale procede la stampa é più o meno condvisa da tutti i settecento direttori di giornali intervistati. La necessità di sapere e di essere informati non scema con gli anni, cambia non finisce. Non bisogna soffermarsi sul supporto ma sulla sulla notizia e il valore aggiunto, che ha il lettore, nel nostro caso il prosumer, nel leggerla. Agoravox é un esempio di "citizen journalism" non in contrasto con il giornalismo professionale. Un cittadino che con la sua telecamera riprende quanto accade sotto il suo palazzo non è in "competizione" con il giornalista che quotidianamente cerca notizie e lavora fino a notte tarda in redazione; cosi’ come un cittadino che evita un furto non è in competizione con la polizia. Noi vogliamo far collaborare giornalisti professionisti e giornalisti "cittadini" per realizzare vere e proprie inchieste partecipative.
Vorrei lasciarti con una riflessione sul problema della stampa in Italia. I giornalisti in Italia sono circa 30 000, di cui solo 12 000 hanno un regolare contratto. Una cifra che pende verso il precariato significa che è complicato fare informazione di qualità. Per citare l’ex Presidente della Repubblica Ciampi: "I giornalisti devono tenere la schiena dritta", ma come si puo’ denunciare se si è sotto lo schiaffo continuo di un licenziamento?
Leggi questa intervista su Mediazone.
1 commento:
Bella intervista e ottima iniziativa.
C'è sempre più bisogno di un informazione libera e "meno aziendalista", anche per venire incontro alle difficoltà della maggioranza dei giornalisti precari che sotto ricatto continuo non possono svolgere fino in fondo il loro lavoro in modo indipendente e corretto nei confronti dei cittadini.
Posta un commento