sabato 12 aprile 2008

La TV 2.0

L'Italia è un paese dove parlar male della televisione può diventare un mestiere, un paese dove si può pontificare male della tv proprio nei talk show televisivi, dove solitamente si arringano soltanto inutili filippiche. Questo quindi è un paese dove si parla male di tv in tv e questo la dice lunga sulla coerenza di molti. Sparlare di tv va di moda, fermarsi a ragionare cercando di farsi domande e capire cosa potrà succedere nei prossimi anni è più complicato. Ma tanto vale provarci.

Ha senso parlare male della tv?

La televisione è un mezzo di trasporto (non per altro prima esisteva il Ministero dei trasporti, delle poste e delle telecomunicazioni cui era affidata) e solo per questo motivo non possiamo criticare il mezzo tout court bensì ciò che si "trasporta", in altre parole i contenuti. Lo stesso Pasolini nelle sue “Lettere Luterane” in cui proponeva di abolire la scuola dell’obbligo e la tv scriveva “Il mio odio (…) non va contro la televisione, ma contro la televisione italiana”. Pasolini nella sua lucidità aveva intuito che la televisione non è il MALE in sé, ma che con la sua potenza può trasportare-veicolare, visioni di società che alcuni possono non condividere e modelli culturali che altri possono detestare. Per le condizioni politiche dell’epoca la televisione rappresentava uno dei mezzi di potere di un solo partito che lo stesso Pasolini avversava culturalmente, anche perché era l’unico partito che poteva usare quel mezzo e per questo si augurava un moltiplicarsi di canali in modo tale da permettere ai telespettatori di scegliere. Ha senso, quindi, sparare addosso alla tv? Non ora, non qui. Non più.

La tv 2.0
Nei mesi scorsi (anche su questo blog) si è data tanta risonanza al fatto che internet stia per superare la tv. Non è una novità per chi è più addentro alla questione: la tv si sta evolvendo. Come tutti i media sta diventando 2.0. Per cercare di dare senso a questa etichetta possiamo dire che sta diventando più democratica. Lo scrive benissimo H. Jenkins nel capito conclusivo “Democratizing television? The politics of participation” del suo "Cultura Convergente" quando accenna alla nascita di Current Tv riportando molte cose del dibattito che infiammò gli Usa nel 2004. Tra le parole più significative a riguardo sono quelle di A. Hihghfield dirigente della Bbc “la tv del futuro sarà irriconoscibile rispetto a quella odierna, non più confezionata e pianificata da dirigenti televisivi, caratterizzata non solo da canali lineari; essa sarà più simile a un caleidoscopio, con migliaia di flussi di contenuto, alcuni non più distinguibile come canali. A livello più semplice il pubblico vuole organizzare e rielaborare i contenuti a proprio piacimento. Commenteranno i nostri programmi, li voteranno, e in genere dedicheranno loro attenzione. A un altro livello, però, vorranno creare da zero quei flussi di video, con o senza il nostro aiuto”. La tv cui parteciperemo in futuro, non la vedremo soltanto: il termine esatto sarà partecipare, sarà una tv più popolata. Se era vero che prima imponeva modelli (pochi se non unici) già da oggi i modelli si moltiplicano. Il senso è che questa tv 2.0 dà spazio a chi la guarda e non li fa sentire dei meri spettatori, vuole coinvolgerli, vuole mandarli in onda, vuole farli partecipi.



Il telecaos creativo

Questo è un periodo di telecaos creativo (forse come quello degli anni ’80?): "le piattaforme competono in termini di accessibilità, facilità, costo, prezzo finale, ricchezza dei contenuti ai quali consentono di accedere. I servizi competono in base alla qualità dei bouquet di contenuti che riescono ad aggregare, al prezzo degli abbonamenti, all'invasità della pubblicità. I contenuti competono per le loro qualità autoriali, informative, funzionali." scriveva Luca De Biase su Nova del 13 dicembre. Non la riconosceremo più, la nostra televisione, perché sarà evoluta in qualcos’altro e come dice una legge fondamentale della fisica nulla si distrugge tutto si trasfroma: i contenuti, i fruitori e soprattutto il modello economico. “E’ nel mutamento che le cose si riposano” scriveva Eraclito e sono convinto che in questo preciso istante anche la televisione (come apparato, come modello) proprio perché siamo in un momento di passaggio sia a riposo (ripropone sé stessa , senza cambiamenti, senza stravolgimenti) ma, individuato il nuovo, (vedrete!) ripartirà all’attacco. Come fa sempre l'industria culturale. Per maggiori conferme leggere "Apocalittici e Integrati" di Eco.

I nuovi contenuti
Come sono i contenuti di questa tv 2.0? Innanzitutto sono nuovi, nei generi, nei linguaggi, nelle linee narrative. E poi sono aperti, sono trasparenti e vengono da ogni dove. Questa è una tv che si fa ovunque perché ovunque la si può fruire. La vecchia TV, si sa, in Italia la si produce o a Roma o Milano mentre chi partecipa alla tv 2.0 le proprie performance le fa da dove capita: per strada, nelle camerette o negli spazi che si hanno a disposizione. C'è che i programmi li fa in scooter, chi nella propria cameretta, chi sul tetto del propria casa. All'estero la si fa nelle cucine e sui balconi. Questi contenuti poi vengono messi in rete e condividendoli I protagonisti abbattono le categorie spazio-temporali. Nel web non esiste nè il centro e nemmeno la periferia. Ed è proprio in questo magma che ho trovato le sperimentazioni migliori. Certo siamo proprio all'inizio: alcuni di loro non mettono le luci come dovrebbero, altri non impostano l'audio nel giusto modo. Ma proprio giocando e divertendosi stanno impostando un nuovo modello generativo per i contenuti. Inoltre in alcuni casi le tv 2.0 accettano i video degli utenti, in altri casi si può partecipare alla nascita dei programmi stessi, altrove mentre vanno in onda i contenuti si chiede un parere o magari di intervenire in diretta. Perché questa è una tv che non ha paura delle idee degli altri, è una tv conversazionale, dove ciascuno ha il diritto di esprimersi e di mettersi in gioco. Come spett-autore o prosumer o chissà quanti altri termini inventeremo.

I net nativi

Quella dei net nativi è una formula che ben esprime chi sono e saranno i protagonisti della tv 2.0. Cito Tommaso Tessarolo "I net nativi non solo producono gran parte della loro televisione, ma hanno preso anche a remixarla (per usare un termine anni ‘80). Sta nascendo una nuova generazione di “Pod VJ“, maestri blogger capaci di generare Podcast Video, e quindi “trasmissioni TV”, miscelando sul loro blog i contributi per loro più interessanti. Nuovi guru mediatici in grado di parlare agli abitanti di questo nuovo mondo semplicemente “postando”. E’ l’intrattenimento che estende la sua forma originaria ben oltre le soglie dell’interattività. E’ una nuova specie che ragiona, comunica e si intrattiene in modalità che a noi è dato solo osservare.” Quello che ci resta da capire è il senso di questa evoluzione che probabilmente è nel nuovo rapporto tra media e persone e nel legame tra le stesse persone. Un rapporto più trasparente e sicuramente più democratico.
Se far diventare le persone protagoniste della Storia era l’imperativo categorico delle grandi rivoluzioni del passato, partecipare attivamente alla Comunicazione è forse il senso che possiamo dare a tutta questa grande Evoluzione. Dei media e dell’homo sapiens.

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(post soggetto ad update: sono graditi commenti, proposte e collaborazioni per portare avanti questa ricerca sulla tv 2.0)
scrivete tutto a salvatoreditaranto@gmail.com

8 commenti:

realuca ha detto...

(...)
"UN GIORNO TUTTI AVRANNO DIRITTO A 15 MINUTI DI CELEBRITA’" Andy Warhol
..pod generation! era il nome che mancava a Warhol per sintetizzare il concetto. Comunque tutto vero.. il web "libera" i contenuti, ma tutti noi ben sappiamo di trovarci di fronte ad uno dei più disorientanti paradossi: siamo liberi quando ci viene "suggerito cosa fare"; la libertà è più un ideale che una necessità, e il meanstream su questo concetto (nonché sulla necessità di conservare un dato sistema economico e d'opinione) muove la propria strategia di posizionamento in relazione alla democratizzazione mediatica. La chiave di lettura, come sempre del resto, è da individuarsi nell'audience sulla scia della solita domanda: semplice marionetta o futuro burattinaio? (...) l'innovazione porta nuovo loisir o rinnovata consapevolezza?

Lorenzo Guerra ha detto...

Bellissimo post Salvatore.
Bello spunto per riflettere.
Non credo, però, che la tv partecipativa spazzerà via tutto nei prossimi 6 mesi. Lo so non l'hai detto....
Lo farà ma non in tempi rapidissimi. La tendenza c'è ma la velocità con cui ciò avverrà dipenderà da una serie di fattori. La tv generalista c'è e rimarrà per altro tempo. Non cadiamo prigionieri del "wishful" thinking. Ne stiamo parlando perchè è la vera novità che cresce e che sta, effettivamente, influenzando parte dei linguaggi, le modalità di consumo dei media e dell'industria culturale. Tutti i media ne sono parzialmente contaminati, un po' perchè siamo noi che lavoriamo nei media che ci siamo affascinati e un po' perchè è necessario.
Secondo me l'impatto reale dipenderà da quanto i media 2.0 riusciranno a infettare i media mainstream nei linguaggi, nei talenti coinvolti. Cioè da quanto le tv tradizionali sapranno fare loro i talenti e le idee che emergono dal tv partecipativa e grassroot. INsomma saprà la tv fare suo il format, il talento e l'idee che sforna, per esempio, lo scooterista? Questo sarà il cavallo di troia, negli Usa già avviene. E' indubbio che la tv si debba ripensare. Non ci sono più i budget e l'audience e lo può fare solo coltivando il sottobosco che le cresce attorno. Che dici?
I 15 minuti Warholiani potrebbero essere da autore e non da star soggetto dei media....

giovanni ha detto...

Il post, concordo con Lorenzo, fornisce al lettore una serie di spunti interessanti. Mi preme, come forse già ti scrivevo ieri su skype, concentrare il mio commento su due degli aspetti che sfiorano l’evoluzione di cui tu stesso scrivi citando mostri sacri del pensiero, come Pasolini che sempre più è letto in radio da un tale Fabio Volo (forse per sottolineare la sua assenza dal mezzo di comunicazione che l’ha reso popolare).

Si moltiplicano gli attori della comunicazione. La crescita dei strumenti che possono utilizzare per venire in contatto gli uni con gli altri è aumentata fino a toccare il traguardo del tanto agoniato status “all’ennesima potenza”. Malgrado ciò persistono tutte una serie di problematiche per le quali ci sia ancora qualcuno che dentro un sistema “mass media” non si sente capito. Decodificato. Questo corto circuito credo sia da attribuirsi all’eterno conflitto tra l’uomo e la tecnologia, per il quale il soggetto “uomo” affida parte del suo messaggio allo strumento non utilizzato come semplice luogo di scambio ma come fattore attivo (suo malgrado) della comunicazione. Siamo convinti che la conversazione acquisisca un valore in più in base al “luogo” che abbiamo scelto per il suo sviluppo, che il cosa dire sembra un problema risolvibile di default.

Forse su questo dovremmo interrogarci quando decidiamo di spostare il nostro punto di vista su nuovi orizzonti, come possono essere intense progetti 2.0 di cui scrivi tu nel post.

Spesso, ahimè, le stesse persone che decidono di investire su queste realtà sono le stesse che non sono riuscite a comunicare un messaggio preciso in altri contesti. Come potremmo evolverci se, di fatto, le menti in grado di far proprio un linguaggio comunicativo vengono ridotte a icona?

Possiamo anche migliorare la tecnologia ma di fondo il problema rimane. Come facilitare un flusso di informazioni?

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
LaBiLa ha detto...

Re@l mi toglie le parole di bocca:"La chiave di lettura, come sempre del resto, è da individuarsi nell'audience sulla scia della solita domanda: semplice marionetta o futuro burattinaio? (...) l'innovazione porta nuovo loisir o rinnovata consapevolezza?". Essendo una persona piuttosto pessimista rispetto alla presunta "bontà" dei media, mi trovo nella posizione di chi pensa che l'audience, dovrebbe interrogarsi circa il reale ruolo che riveste all'interno di un programma tv che "accoglie" la sua partecipazione. Così come la tv non è il male in sè, la partecipazione degli utenti alla generazione di un contenuto mainstream (escludendo dunque le produzioni home-made non commerciali) non è un bene in sè, poiché nulla modifica nei rapporti di forza tra i due poli della comunicazione. C'è indubbiamente la possibilità, straordinaria, di rompere gerarchie consolidate e rinnovare linguaggi e stili; la domanda però è: cos'è il contenuto, se non un pretesto per la cattura dell'attenzione di un'audience, da vendere agli inserzionisti? E quindi la tv 2.0 che "dà spazio a chi la guarda e non li fa sentire dei meri spettatori, vuole coinvolgerli, vuole mandarli in onda, vuole farli partecipi" è parte di un progetto di democratizzazione reale dei media, o, al contrario, si è definitivamente affrancata dal "messaggio", dal significato, monetizzando il circolo virtuoso creato dalla partecipazione? In fondo: l'utente genera il contenuto-l'utente propone il contenuto all'emittente- l'emittente ritrasmette il contenuto- l'utente riguarda il proprio contenuto creando valore- l'inserzionista paga questo valore all'emittente... flussi video gratuiti o apertura alla conversazione? Fino a che punto l'unidirezionalità televisiva può decostruirsi in favore della moltitudine della rete, senza finire per modificarne profondamente gli elementi? Diceva Hebdige: “Quando la sottocultura comincia ad assumere una serie di atteggiamenti perfettamente vendibili, quando il suo lessico (sia visivo che verbale) diviene sempre più familiare, allora il quadro di riferimento a cui si può convenientemente assegnare si fa sempre più evidente"; aggiungerei, permettendo di essere inglobata in un rinnovato mainstream.

AKirA ha detto...

Bellissimo post salvatore

Elia Banelli ha detto...

Ottimo post per riflettere e ragionare insieme sui cambiamenti in atto. Un aspetto che ci terrei a sottolineare, che soprattutto in Italia ha una certa preponderanza, è quello della proprietà di chi gestirà i new media e il Web 2.0.
E' giusto dire che le vecchie televisioni con i dirigenti ed il cda forse spariranno, ma bisogna capire chi ne prenderà il posto. Se il web da solo è capace di "auto-gestirsi" in maniera autonoma e indipendente, oppure se verrà assorbito (direi inghiottito) dalle aziende avide di impadronirsi del succoso boccone. Il Myspace di Murdoch, Youtube di Google...e in Italia?
Cosa accadrebbe se Mediaset decidesse di acquistare i diritti su chi produce e realizza contenuti user generate content?
Questo è un aspetto a mio avviso molto importante e delicato.
A quel punto sarebbe a rischio la "totale libertà" di creare e riprodurre.
Magari il problema non si pone se i contenuti hanno un carattere "ludico", sportivo, etccc... Ma nel campo delle notizie, della libera informazione, della polemica politica, potrebbero sorgere nuove inaspettate e soprendenti censure.
Speriamo che questo non accada mai, ma il rischio è plausibile e le domande ce le dovremmo porre tutti .

Unknown ha detto...

Arrivo un po' in ritardo, ma è valsa la pena aspettare di leggere questo post con la calma dovuta.

No, non parliamo male della TV, in fondo è ancora così presente in tutte le denominazioni o dominazioni del 2.0 (web tv , qualcosa.tv etc).

Chissà quale sarà il termine definitivo che distinguerà la TV, come altra cosa da ...

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