Nel mio lavoro sostengo che la scrittura del palinsesto ha perso quella centralità che aveva fino a qualche anno fa diventando mobile e, oserei dire, quasi precario. Questo fenomeno lo si nota in alcune reti dove i programmi vengono continuamente spostati di giorno e su alcune reti in cui si mandano in onda programmi con target di pubblici completamente differenti.
Bisogna partire dal presupposto che non si può prescindere dal presupposto che la fissazione dei programmi è fondamentale, come è necessario conoscere il pubblico. Italia1, ad esempio, ha una linea editoriale coerente ed un target ben definito e tutto si muove su quei binari. Ma non possiamo confondere la crisi editoriale che ha coinvolto alcune reti, perché abbiamo visto come spesso le logiche produttive si scontrano con quelle politiche che non sono amalgamabili, con la crisi del principio di fidelizzazione. In tv la fedeltà è tutto.
Quanto è importante l’identità di rete?
L’identità di rete ci dà il dna di un canale. Anzi ti dirò di più, io sostengo che esprime proprio il senso culturale degli spettatori, dove il termine culturale io lo intendo nell’accezione più ampia del termine e non nel senso limitativo. L’identità di rete rappresenta proprio un modo di vedere la realtà. È chiaro che Raitre e il suo pubblico hanno un modo di vedere la realtà dal pubblico di Italia1 o di Rete4 eccetera. Quando una rete, invece, si ritrova a non avere un palinsesto, e quindi non applica un piano editoriale, e deve seguire le richieste dei pubblicitari e le richieste politiche in modo schizofrenico è costretta a naufragare. È pur vero che la televisione si muove tra la politica e l’economia ma bisogna sforzarsi di non essere schiavi di queste due logiche che ripeto sono inconciliabili. In una situazione di crisi di una rete rimangono dei programmi che galleggiano nel palinsesto e spesso questi programmi sono per target e per natura contraddittori. Lo scontro tra le reti oggi, come ho detto prima, è sui programmi ma bisogna che questi programmi siano legati tra loro da una logica che è appunto rappresentata dal palinsesto.
Negli ultimi anni si assiste ad una progressiva dilatazione dei programmi di prime time che spesso finiscono per occupare per intero la fascia di seconda serata. José Miguel Contreras, il fondatore di Geca Spagna, dà a questo fenomeno il nome di effetto duplex. Inoltre le ultime ricerche ci dicono che i minuti medi dedicati dal pubblico ai programmi della prima serata sono inferiori alla durata della fascia oraria. C’è una discrepanza tra il palinsesto televisivo e il palinsesto personale di ciascun utente. Lei cosa pensa?
A riguardo ho una tesi molto originale: questa è una patologia del palinsesto italiano ed è quello che è rimasto del vecchio palinsesto che ci ha insegnato la vecchia signora Rai. Il palinsesto del passato si sviluppava in senso verticale seguendo lo schema “ogni giorno un genere”. Il lunedì era il giorno della fiction, il mercoledì dell’informazione, il sabato c’era il varietà eccetera. Noi siamo ancora in questo ordine di discorso che però non è destinato a rimanere a lungo. Questa situazione dovrà esplodere, anche grazie anche ai pubblicitari che non sopportano questi programmi diluiti i quali non permettono una certa articolazione della programmazione e dell’offerta pubblicitaria. Sono convinto che questa è ancora l’ultima cosa che rimane dei vecchi palinsesti Rai.
Spesso la televisione italiana, a differenza di quella statunitense, non riesce a seguire quei segmenti o quei target che pure emergono da un attenta analisi dei dati socio-demografici relativi alle reti.
Nessun commento:
Posta un commento