Sono una di quelle persone a cui
piace scattare foto con lo smartphone quando è ad una mostra. Non molte, in
verità, ma lo faccio. Sono la stessa persona che condivide queste stesse foto su
Instragram aggiungendo le giuste tag, quelle che poi faranno aumentare i like
(si spera!). A volte mi chiedo se sia giusto pubblicare in quel flusso di
immagini che è Instagram il capolavoro di Caravaggio “Davide con la testa di Golia”
- soprattutto dopo aver scoperto la storia che precede quel dipinto - o le grandi
tele di Kiefer dell’Hangar Bicocca
sapendo che finiranno insieme al post di promozione della palestra sotto casa
vostra o subito dopo quello della prossima campagna elettorale, tra un meme che
prende in giro Salvini e uno scatto di un bel piatto di cozze pelose con
l’hashtag #foodporn.
Per questo e altri motivi non potevo perdermi l’ultimo libro di Francesco Bonami “POST – L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità sociale” (e che vor dì?) pubblicato da Feltrinelli. Il tema del libro, come si può intuire, è il nuovo rapporto tra arte e social network, dove l’arte è sempre l’arte e i social network siamo noi nella nostra nuova forma di animali sociali con un device tra le mani, che spesso usiamo le opere d’arte come sfondo per i nostri selfie.
Francesco Bonami - POST L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità sociale |
Per questo e altri motivi non potevo perdermi l’ultimo libro di Francesco Bonami “POST – L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità sociale” (e che vor dì?) pubblicato da Feltrinelli. Il tema del libro, come si può intuire, è il nuovo rapporto tra arte e social network, dove l’arte è sempre l’arte e i social network siamo noi nella nostra nuova forma di animali sociali con un device tra le mani, che spesso usiamo le opere d’arte come sfondo per i nostri selfie.
Fortunatamente Bonami davanti al
fenomeno dei social e della tecnologia
in generale non si professa né apocalittico né integrato. Sposa piuttosto un approccio eretico, nel
senso etimologico del termine. Sceglie di giudicare di volta in volta l’uso che
possiamo fare delle tecnologie ma soprattutto dei post che prepariamo e
condividiamo sui i nostri canali social.
Cito un passaggio pieno di speranza per noi postatori seriali “postare
non ci aiuta a essere più felici ma se per caso siamo veramente felici, magari
di aver visto una bella opera d’arte, postarla potrebbe aiutare altra gente a
fare lo sforzo di andare a vederla allargando i propri orizzonti fisici e mentali
(…)”. Ma attenzione, sembra ammonirci il critico, perché postando opere su
Twitter, Pinterest, Instagram, Facebook, Linkedin rischiamo di confondere i nostri contatti (quelli
meno avvezzi alle opere d’arte) che magari potrebbero accontentarsi della
visione digitale dell’opera rinunciando alla visione nel museo o nella
galleria. E siccome si fa presto a confondersi
poi ci si ritrova a visitare le
così dette “mostre impossibili” dove ci
si può immergersi nelle opere ma poi si corre il rischio che la tela, quella originale,
non provochi più emozione (la famosa sindrome di Stendhal).
Se da una parte Bonami benedice l’uso
della realtà virtuale nell’installazione Carne Y Arena di Alejandro González
Iñárritu di qualche tempo fa alla Fondazione Prada, dall’altra ci avverte
che con il nostro impeto tecnologico stiamo arrivando a tracciare gli sguardi
dei visitatori dei musei, tramite degli occhiali speciali, così da conoscere
quali sono le opere o le parti di opere che interessano di più. Per i fanatici
della “raccolta dati” così facendo si potrebbero costruire delle mostre su
misura riproponendo le opere a seconda delle abitudini di visione. Ma le conseguenze potrebbero essere terribili,
soprattutto per i futuri artisti che asseconderebbero i risultati di queste
ricerche e addio imprevedibilità e meraviglia!
Se siete degli “addetti ai lavori”
è un libro stimolante perché rilegge alcune mostre e pratiche artistiche, dandone
una lettura interessata al tema del libro. Se non fate parte del mondo dell’arte,
ma avete il vizio della curiosità, questo libro è perfetto perché ogni capitolo
parla di noi che facciamo parte dei 3,48
miliardi di utenti dei social media nel 2019 (stando all’ultimo
report di Global Digital Report di We Are Social).
Siamo ormai una moltitudine, tra postatori e non, ciascuno col suo obiettivo: chi per farsi conoscere e riconoscere (geniale la definizione di Civiltà del Riconoscimento), chi per sfuggire all’oblio, chi per non sentirsi escluso o emergere ed emanciparsi dal quel senso di solitudine collettiva, condividendo qualsiasi cosa e sperando in un like o in una emoji. Iniziare questa riflessione partendo dal mondo dell’arte non è paradossale perché “dai graffiti di Lascaux l’arte è esistita per condividere qualcosa (…) l’arte è il social network più antico che sia mai esistito”. In questo momento il profilo Instagram di Bonami - @thebonamist - dopo aver condiviso circa 840 POST ha più di 8.000 follower. Ne merita di più.
Siamo ormai una moltitudine, tra postatori e non, ciascuno col suo obiettivo: chi per farsi conoscere e riconoscere (geniale la definizione di Civiltà del Riconoscimento), chi per sfuggire all’oblio, chi per non sentirsi escluso o emergere ed emanciparsi dal quel senso di solitudine collettiva, condividendo qualsiasi cosa e sperando in un like o in una emoji. Iniziare questa riflessione partendo dal mondo dell’arte non è paradossale perché “dai graffiti di Lascaux l’arte è esistita per condividere qualcosa (…) l’arte è il social network più antico che sia mai esistito”. In questo momento il profilo Instagram di Bonami - @thebonamist - dopo aver condiviso circa 840 POST ha più di 8.000 follower. Ne merita di più.